In questo bellissimo libro “Schegge traumatiche. Kim Noble e le sue venti personalità”, Lombardo Edizioni, Milazzo, 2024.
Sofia Mezzasalma, soprattutto attraverso la storia della pittrice Kim Noble, valorizza la categoria diagnostica del DID. Il disturbo dissociativo dell’identità (DID) o disturbo dissociativo della personalità consiste (secondo il DSM 5) in una disgregazione dell’identità. Janet (1899) parla di disaggregazione mentale o dèsagrègation psychologique, caratterizzata da due o più stati della personalità distinti tra loro. La disgregazione della personalità comprende una marcata discontinuità del senso del Sè e della consapevolezza delle proprie azioni, accompagnata da alterazioni del funzionamento sensori-motorio, della senso-percezione, delle emozioni, delle funzioni cognitive, dell’affettività, del comportamento, della memoria, a breve e a lungo termine, ovviamente in connessione con il o gli eventi traumatici. Tali caratteristiche hanno un effetto pervasivo nel funzionamento quotidiano del soggetto e costituiscono il suo modo di essere. Le sensazioni, le emozioni, le azioni e così via vengono percepite “come non mie”. Anche il corpo è dissociato dalla mente ed è percepito “come non mio”. Il Sè è percepito come “non Sè”. Tali sintomi provocano disagio clinicamente significativo con compromissione del funzionamento sociale e lavorativo. Si tratta di una condizione più diffusa di quanto non si creda. A volte possono verificarsi flashback intrusivi riguardanti immagini dell’esperienza traumatica. Tante volte si verificano amnesie dissociative ricorrenti, ovvero si costituiscono tante barriere mnestiche. Possono verificarsi, anche, le cosiddette “fughe dissociative” in cui il soggetto, per esempio, si ritrova improvvisamente in spiaggia senza sapere come via sia arrivato.
Il Sè perde coesione e costanza. Come dice Green (1976) è come una collana di perle, il cui filo si è rotto. Ci sono aree che rimangono espropriate ed emozioni che non vengono vissute. Il soggetto fa qualcosa senza sapere cosa sta facendo e soprattutto chi la sta facendo. Le impressioni sensoriali e le esperienze precoci, che avvengono nelle prime fasi di vita, prima che sia arrivato a maturazione l’ippocampo (che arriva a maturazione tra il secondo e il terzo anno di vita), lasciano tracce nei livelli profondi sottocorticali ove ha sede l’inconscio non rimosso e vengono processate dalla memoria implicita (livello preverbale e presimbolico). E tali tracce traumatiche potrebbero essere conservate nella memoria implicita di ciascun frammento dissociativo, per cui i vari frammenti non possono comunicare tra di loro, non possono ricordare, non possono raccontare e non possono sapere nulla dell’esistenza dell’altra o delle altre. Per questo una personalità dissociativa non sa nulla dell’altra o delle altre e questo spiega anche l’amnesia, caratteristica delle condizioni dissociative.
Utilizzando la bellissima metafora dello specchio e dei sassi, Sofia scrive che se lo specchio rappresenta l’Io del bambino, il sasso simboleggia un trauma talmente forte da travalicare le personali capacità elaborative, originando una vera e propria frammentazione. Tuttavia, occorre far presente che la mancata strutturazione di un Sè integrato potrebbe anche derivare (come, del resto, accade nella maggior parte dei casi), da un accumulo di traumi - e non da un singolo episodio. In questo caso sarebbe possibile immaginare la frantumazione dello specchio (e questa è la nostra tesi) come conseguenza di una “sommatoria traumatica” (Mezzasalma, 2024, pp. 27-28). Qui, Sofia Mezzaslama si rifà al concetto neuroscientifico in cui, quando un singolo stimolo di per sé non è in grado di attivare i neuroni, allora la “sommatoria” (temporale e spaziale) di più stimoli, riesce ad innescare il potenziale d’azione neuronale, producendo modificazioni fisiologiche o patologiche. Anche il pensiero filosofico del “panpsichismo” ritiene che la capacità di sentire le esperienze e le cose che accadono (sia nel mondo esterno che nel mondo interno) sia legata a più microesperienze che, interagendo tra loro, darebbero vita a macroesperienze. Ora, se l’urto o la sommatoria di urti, travalica le possibilità dell’Io di tenersi insieme e rimanere integro e resiliente, allora si possono provocare frantumazioni nello specchio e ad ogni frattura si può creare una diversa personalità, ad ogni frammento dello specchio corrisponde una personalità altra. Ciascuna identità viene definita Alter, ovvero uno stato alternativo di coscienza. Questo sembra essere il caso di Kim Noble, l’artista dalle venti personalità, il cui l’Alter dominante, clinicamente noto come Host è quello di Patricia, autrice del libro All of me, riguardante la vita di Kim. Tutti i vari Alter nel loro insieme costituiscono il “Sistema” che è governato dall’Host che è l’Alter che controlla maggiormente la mente e il corpo di Kim.
Il corpo di Kim Noble ospita venti differenti Alter, in aggiunta ad alcuni “Frammenti” (stati di coscienza alternativi il cui ruolo risulta limitato a produrre singole azioni o a trattenere qualche ricordo traumatico; in quest’ultimo caso, tali “Frammenti” prendono il nome di Trauma Holders). Per cui il corpo di Kim risulta dissociato e il racconto della sua storia risulta frammentato. Come ci fa notare Sofia Mezzasalma, Patricia “racconta la vita del Sistema dal proprio punto di vista, omettendo parti importanti della storia di Kim (poiché, non vissute in prima persona)” (Mezzasalma, 2024, p. 39). Dopodichè Sofia Mezzasalma si chiede anche cosa fosse successo al corpo di Kim. E’ Patricia a dichiarare con chiarezza di non essere a conoscenza di quanto sia accaduto al corpo (probabilmente a causa dei vari abusi subiti). Per cui, il corpo di Kim non appartiene a Kim. Il corpo è dissociato da una mente frammentata ed è a sua volta, anche il corpo, frammentato nelle sue funzioni senso-percettive e motorie. Per cui, una parte del corpo non sa cosa fanno le altre parti, così come una personalità non sa cosa fanno le altre; perciò, non potremo mai avere una identità integrata, ma piuttosto abbiamo tante identità frammentate e scollegate l’una dall’altra.
Sembra questo un destino già segnato, sin da prima della nascita. Infatti, Sofia a proposito dell’errore (quasi) fatale della nascita di Kim, scrive che Kim nacque da un doppio “scherzo” del destino: una gravidanza non voluta e un tentativo d’aborto fallito. Quindi, un doppio trauma prima ancora della nascita e tante altre esperienze traumatiche dopo la nascita che hanno segnato, inevitabilmente, tutta la vita dell’artista.
Sofia Mezzasalma, inoltre, ci fa notare che anche il famoso caso di Anna O., la donna analizzata da Freud e Breuer (in un primo momento trattato come caso di isteria), piuttosto possa essere considerato un caso di DID.
Scrivono Freud e Breuer: vi erano due stati di coscienza del tutto distinti, che spesso e repentinamente si alternavano e che nel corso della malattia si venivano sempre più nettamente separando. In uno stato, la paziente conosceva ciò che la circondava, era triste e angosciata, ma relativamente normale; nell’altro stato allucinava, era “cattiva”, vale a dire imprecava, buttava i cuscini addosso alle persone […] e con le dita rimaste mobili strappava i bottoni della biancheria da letto e personale (Mezzasalma, 2024, p. 46).
Durante tutto il decorso della malattia, i due stati di coscienza sussistevano in parallelo, il primario e lo stato secondario che ben possiamo paragonare al sogno per la sua ricchezza di fantasmi, allucinazioni, le grandi lacune della memoria, la mancanza di inibizioni e di controllo nelle idee. È difficile evitare di esprimersi dicendo che l’ammalata si era scissa (dissociata) in due personalità, delle quali una era psichicamente normale e l’altra era pazza.
Anna O. infatti sembrava abitata da due differenti stati di coscienza che si alternavano tra di loro repentinamente, da amnesie dissociative ricorrenti, dall’alternarsi di differenti lingue, da sbalzi d’umore repentini e da altri sintomi dello spettro dissociativo.
Qui Binet parla di doppia coscienza (double cosciente); Janet parla di dissociazione (dissociation) o disaggregazione (dèsagrègation) come debolezza o venir meno della funzione sintetica e di aggregazione (agrègation) della mente.
Per cui, Sofia Mezzasalma ci indica che Anna O. potrebbe, quindi, essere caratterizzata da fratture e ferite profonde nella personalità e che anche Nancy Mc Williams inquadra il caso di Anna O. come DID.
Mi piace come Sofia sia attenta a raccomandare al lettore di tentare di comprendere il fenomeno della dissociazione, con una sensibilità vicina all’esperienza. Ossia, da un punto di vista empatico.
In analisi, bisogna avvicinare le aree traumatiche con cautela e delicatezza, per evitare di ritraumatizzare il paziente. Essere tenuti a mente dall’analista consente di mettere insieme i pezzi (mentali e corporei) e cominciare a mettersi in contatto con se stessi. Così che, gradualmente, nella relazione con l’analista, l’analizzando possa cominciare a pensare ciò che precedentemente risultava impensabile.
Così come avvenne con il celebre caso di colei che si cela sotto lo pseudonimo di Sybil, che fu il terzo caso nella storia del DID (ai tempi conosciuto come Personalità multipla). Secondo la dottoressa Wilbur, Sybil avrebbe combattuto per i primi due anni e mezzo della sua vita. Sofia Mezzasalma scrive che Sybil dopo aver cercato un soccorso esterno che le era stato ripetutamente negato, la bambina aveva iniziato a ricercarlo all’interno, costruendosi un mondo fantastico dominato da una realtà parallela, in cui la madre era una donna amorevole. Attraverso l’impiego della dissociazione, Sybil aveva trovato un modus operandi finalizzato alla sopravvivenza, che le aveva offerto la possibilità di difendersi da una realtà insopportabile (Mezzasalma, 2024, p. 71).
E successivamente, fu ascoltata e accolta in terapia. Così si è potuta integrare.