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Dott. Angelo Villa

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Trauma e dissociazione: disconnessioni tra mente e corpo

2025-02-05 13:19

di Samantha Van Wel

FORT-DA numero 4/2025,

Trauma e dissociazione: disconnessioni tra mente e corpo

Trauma e dissociazione: disconnessioni tra mente e corpo di Benedetto Genovesi e Samantha van Wel

La dissociazione è l’essenza del trauma (Van der Kolk, 2014).

 

La parola trauma significa ferita o lesione, come una trafittura che provoca un perforamento nel soggetto (Van der Hart, 2024). Uno spezzettamento e una frammentazione della personalità. Il trauma è l’esperienza del “troppo”, qualcosa che non può trovare senso né collocazione nel sistema mente-corpo. Si crea una discontinuità nella continuità del Sè. Viene provocato un processo di disgiungimento che implica l’atto del disunire, dividere in parti. La dissociazione interviene laddove non è possibile attivare meccanismi integrativi e associativi. Janet (1899) parla di disaggregazione mentale (dèsagrègation psychologique).

Da un punto di vista neurobiologico, i sistemi sottocorticali si sganciano dai sistemi corticali e si destabilizzano.

Per cui, si determina la dissociazione mente-corpo e il Self disembodiment. Il corpo è destinato a diventare irraggiungibile dalla mente e viceversa (Lombardi, 2016). 

Le esperienze traumatiche (per loro natura impensabili) sono allo stesso tempo conosciute e sconosciute, come qualcosa che al contempo c’è e non c’è.

Le tracce sensoriali ed emozionali vengono tagliate fuori dal campo della coscienza, Il Sè perde coesione e costanza. Come dice Green (1976) è come fosse una collana di perle, il cui filo si sia rotto. Ci sono aree che rimangono espropriate ed emozioni che non vengono vissute. Il soggetto fa qualcosa senza sapere cosa sta facendo e soprattutto chi la sta facendo.

Le reazioni possono essere di polarità opposte, ovvero attacco/fuga versus collasso.

Nell’immediato, in seguito all’esposizione acuta di stimoli traumatici, avviene un’iperattivazione dell’amigdala che è un sistema di allarme, un “rilevatore di fumo” (Van der Kolk, 2014). Per cui, si squilibra il sistema neurovegetativo.

Se prevale l’attivazione del sistema ortosimpatico, si entra in uno stato di ipereccitazione e di ipervigilanza. In tali stati di allerta, si attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e quindi la secrezione di cortisolo, che per questo è detto “ormone dello stress”. Conseguentemente, si attiva la secrezione di adrenalina, la quale agisce come un acceleratore dei ritmi corporei (aumentano l’attivazione ipermetabolica, le contrazioni muscolari, la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna, il ritmo respiratorio, la sudorazione, e così via) e si attivano risposte di attacco o fuga che determinano reazioni esternalizzanti.

Viceversa, se prevale un’iperattivazione del sistema parasimpatico dorso-vagale, si produce un rallentamento dei ritmi corporei, sino ad arrivare al collasso, che determina reazioni internalizzanti.

Mentre siamo immobili … il cuore rallenta, il respiro diventa superficiale … si perde il contatto con noi stessi e con l’ambiente. Ci si dissocia, si sviene e si collassa (Van der Kolk, 2014, p. 96).

Si determina uno stato di anestetizzazione e di arresto metabolico dissociativo. Avviene il distacco profondo della dissociazione, la cancellazione (erasure) della soggettività, la silenziazione (muting). Non c’è il soggetto e non ci sono parole (Mucci, 2023). Si entra in uno stato di congelamento (freezing), intorpidimento paralizzante sensori-motorio e istupidimento (numbing). 

Poi, nell’esposizione cronica a stimoli traumatici si determina una eccitotossicità glutammatergica e si  produce un’atrofia dell’amigdala e dell’ippocampo. Per cui, è come se si perdesse la possibilità di ricordare e di prevedere il pericolo. Si permane in uno stato di allerta che può sempre riattivarsi, in maniera imprevedibile. È come se il pericolo fosse sempre presente, anche se non c’è più.

Come dice Ferenczi, la dissociazione spezzetta e frammenta il mondo, lo spazio e il tempo, essa crea un altrove, dove non c’è più il presente (Ferenczi, 1932).  Per cui, il soggetto permane in uno stato di destabilizzazione e di sospensione. Talvolta, la dissociazione può determinare fenomeni ipermnesici (flashbulb memories), infatti i contenuti mentali traumatici, a tratti, possono irrompere improvvisamente, come qualcosa che prepotentemente ritorna alla coscienza (flashback).

Il bisogno della mente di difendersi non termina quando il trauma è “concluso”. Per il cervello non è mai concluso … Il motivo per cui il trauma non termina mai per il cervello è che esso lascia un residuo di affetto non elaborato, dissociato, che il cervello non è in grado di regolare - l’ombra dello tsunami (Bromberg, 2012, p. 49).

Così, il trauma altera le coordinate temporo-spaziali del mondo (interno e esterno). Il vissuto traumatico non riesce ad essere confinato, in un determinato luogo e in determinato momento.

Il trauma si presenta e si ripresenta ma non si rappresenta. Rimangono immagini incomprensibili e irraccontabili. Non ci sono parole, il soggetto si assenta e si frammenta.

Naturalmente, nella relazione di cura, nell’avvicinare l’area traumatica, bisogna procedere con estrema cautela e delicatezza, per evitare di ritraumatizzare il paziente. La presenza del terapeuta, in quanto altro che sia “testimone”, potrà svolgere una funzione riparativa, in cui possono essere messi insieme i frammenti.

Mancia (2006) ci fa notare come la psicoanalisi possa modificare le impressioni sensoriali delle esperienze precoci preverbali, esercitando cambiamenti nelle dinamiche interneuronali. Per cui, diventa fondamentale nella relazione terapeutica con il paziente, sintonizzarsi sugli aspetti non verbali della comunicazione (la postura del corpo, la psicomotricità, l’inflessione del tono della voce, l’espressione del volto e dell’emotività, la gestualità e così via).

La cura del trauma passa attraverso un lavoro di integrazione che possa ricucire insieme i pezzi dissociati. Sicché, il sistema ventro-vagale possa collegare il sistema simpatico e parasimpatico, in un caloroso abbraccio. Viene stimolata la secrezione di acetilcolina, che insieme all’ossitocina, ha un effetto rilassante e conferisce un senso di rassicurazione, armonia e connessione. Essere tenuti a mente consente di rimettere insieme i pezzi (holding and handling) e ciò significa che almeno nella persona dell’analista si può essere integrati (Winnicott, 1965). Nella relazione tra analista e analizzando, può diventare possibile pensare ciò che prima era impensabile ed avviare un processo di rappresentazione di parola. Si apre così una via di legame tra l’affetto e la rappresentazione di pensiero, e si può dare un senso all’esperienza.

 

 

 

 

Bibliografia

 

  

Bromberg P.M. (2011). L’ombra dello tsunami. Raffaello Cortina. Milano. 2012.

 

Craparo G., Ortu F., Van der Hart O. (a cura di ). Riscoprire Pierre Janet. Trauma, dissociazione e nuovi contesti per la psicoanalisi. Franco Angeli. Milano. 2020.

 

Ferenczi S. (1932). Diario clinico. Raffaello Cortina. Milano. 2004.

 

Green A. (1976). Psicoanalisi degli stati limite. Raffaello Cortina. Milano. 1991.

 

Lombardi R. Metà prigioniero, metà alato. La dissociazione corpo-mente in psicoanalisi. Bollati Boringhieri. Torino. 2016.

 

Mancia M. Memoria implicita e inconscio non rimosso precoce. Il loro ruolo nel processo terapeutico. Il contributo delle neuroscienze alla psicoanalisi. In International Journal of Psychoanalysis. 87 (1), 83-103. 2006.

 

 

Mucci C. Memoria implicita, inconscio non rimosso e teoria del trauma. Lo snodo fondamentale tra psicoanalisi contemporanea e neuroscienze. In Inconscio non rimosso e memoria implicita. Dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze. Giunti. Firenze. 2023.

 

Van der Hart O. Dissociazione da trauma. Una prospettiva neojanetiana. Raffaello Cortina. Milano. 2024.

 

Van der Kolk B. (2014). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Raffaello Cortina. Milano. 2015.

 

Winnicott D.W. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente. Armando. Roma. 1970.

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