Autore: Fabiola Fortuna.
Alpes Editore, 2022.
Recensione: Silvestro Lo Cascio
Il gruppo di psicodramma può essere quel luogo dove il soggetto si offre ad uno sguardo altro, per un punto di vista altro.
(Fabiola Fortuna)
Lezioni di psicodramma freudiano è un libro che parla di psicodramma e psicoanalisi, è un manuale da poter utilizzare come strumento didattico per lo studio dello psicodramma freudiano ma è anche una biografia che parla tra le righe della sua autrice Fabiola Fortuna. Subito dopo aver letto il libro ho avuto la possibilità e il piacere di conoscere l’autrice e di partecipare a un gruppo di psicodramma (letteralmente psiche in azione) da lei condotto insieme a un'altra autorevole psicodrammatista come Anna Lisa Scepi. Lezioni di psicodramma è un lavoro (transgenerazionale) scritto con umiltà, passione, impegno e amore (per lo psicodramma e per la psicoanalisi) che Fabiola Fortuna ha realizzato per giovani generazioni di psicodrammatisti, psicologi e psicoterapeuti restituendo, nello stesso tempo, continuità, evoluzione e singolarità allo psicodramma. Mi vorrei adesso soffermare su alcuni punti che l’autrice fa notare e che hanno prodotto in me delle libere associazioni, in primis che lo psicodramma non è un’analisi di gruppo dove “viene privilegiata una concezione di gruppo come totalità e non come somma di individui. Viene data particolare attenzione alle dinamiche di gruppo, di cui il singolo individuo è solo una parte” (pag. 21) ma che invece lo psicodramma è un’analisi in gruppo dove il gruppo “non è visto come un tutto unitario diverso dalla somma delle singole persone che lo compongono, ma è un luogo in cui le persone vengono trattate individualmente nello stesso momento” (pag. 21) e a tal proposito che mi viene un’associazione con Antonio Negri e alla sua teorizzazione della “Moltitudine” composta da un complesso di singolarità che non può essere unificata ma rimane plurale e molteplice, la moltitudine è anche un concetto che riguarda le differenze etniche, i generi e le differenze sessuali.
L’autrice fa un interessante lavoro di costruzione e decifrazione del gruppo in rapporto alla psicoanalisi e alla psicoterapia che le permette di realizzare una ricostruzione, ma direi anche decostruzione après-coup dello psicodramma freudiano partendo dalle origini del dispositivo, quindi lo psicodramma moreniano del Primo Aprile 1921 giorno in cui Moreno “ebbe l’intuizione che gli attori fossero tutti gli spettatori, il regista fosse lui stesso ed il copione fosse rappresentato dal momento storico sociale, contraddistinto da rivolte e tensioni” (pag. 24); lo psicodramma psicoanalitico di Didier Anzieu del 1962, anno in cui Anzieu fonda il “Circolo di Studi francesi per la Formazione e la Ricerca Analitica” in cui utilizzava il dispositivo dello psicodramma nei seminari di formazione; lo psicodramma triadico di Ann Ancelin Schutzenberg come tributo a Freud, Moreno e Lewin; e infine lo psicodramma freudiano di Eugénie e Paul Lemoine che nel 1972 pubblicarono il volume “lo Psicodramma”. Il dispositivo dei Lemoine deriva dallo psicodramma triadico e dalla rilettura della teoria freudiana proposta da Lacan, il loro metodo “è quello dello psicodramma individuale in gruppo dal momento che non vengono considerate le dinamiche di gruppo: ogni seduta è infatti centrata sulla drammatizzazione portata da un singolo soggetto, che, con il contributo degli io ausiliari o dello psicodrammatista in funzione di animatore, ne rappresenta una parte” (pag. 41).
Fabiola Fortuna rappresenta per lo psicodramma ma soprattutto per gli psicodrammatisti un ponte (dal latino pōns pŏntis) che riesce ad assicurare la continuità dello psicodramma e nello stesso tempo ha permesso allo psicodramma stesso l’attraversamento verso nuovi scenari clinici e sociali. Secondo il mio punto di vista, l’autrice ha contribuito con la sua esperienza (è stata allieva e poi amica di Elena Croce la quale fu iniziata allo psicodramma da Paul e Gennie Lemoine) ad apportare degli importanti contributi di teoria e di prassi optando per uno psicodramma ontologico più che epistemologico.
Vediamo adesso alcuni aspetti dell’impianto teorico su cui si fonda lo psicodramma freudiano, secondo i Lemoine la matrice del dispositivo sta nel gioco del rocchetto descritto da Freud in “Al di là del principio di piacere” dove il bambino “all’inizio era stato passivo, aveva subito l’esperienza; ora invece, ripetendo l’esperienza, che pure era stata spiacevole, sotto forma di giuoco, il bambino assumeva una parte attiva. Questi sforzi potrebbero essere ricondotti a una pulsione di appropriazione che si rende indipendente dal fatto che il ricordo in sé sia piacevole o meno” (Freud, 1920). Il rocchetto che non è altro che il simbolo della madre che si allontana dal bambino e la capacità di rappresentazione e simbolizzazione permette al bambino di elaborare il trauma della separazione, in caso contrario rimarrebbe invece prigioniero dell’immaginario. Come tutti i giochi anche lo psicodramma ha delle regole da rispettare e oltre la spontaneità ci sono l’astinenza (il divieto di toccarsi, di frequentarsi al di fuori del setting ecc.) e la puntualità che permettono al gruppo di rimanere sul piano immaginario in quanto la loro trasgressione potrebbe comportare il rischio di precipitare nel reale. Un altro pilastro teorico dello psicodramma freudiano affonda le radici nei quattro discorsi descritti da Lacan ne “Il rovescio della psicoanalisi” (1969/70) dove Lacan per discorso intende una struttura di quattro elementi che prova a tenere insieme la dimensione del Significante e quella del Godimento, il discorso è anche il legame sociale e indica i tre impossibili di Freud: governare, educare e curare. Ritorniamo alla prassi del dispositivo e su alcuni aspetti numerici che mi hanno colpito, in particolare il numero Due (lo psicodramma viene condotto da due terapeuti e non da uno) che si contrappone all’Uno autoreferenziale, ovvero all’Uno che moltiplicato per qualsiasi numero da sempre Uno come risultato (Green, 1983). Lo psicodramma è inoltre aperto ai quattro venti ed “ogni partecipante arriva al gruppo con una propria domanda per la quale cerca una soluzione; la molla principale del modello terapeutico non è quindi l’identificazione, ma il desiderio” (pag. 77). Nello psicodramma si attivano due tipologie di transfert, quello verticale sul terapeuta e quello laterale, come difesa dall’angoscia di frammentazione dove ognuno cerca nell’altro un sostegno. Per concludere ritorno a un altro numero caro allo psicodramma, il tre che richiama al tripode freudiano: formazione continua dello psicodrammatista, dove alla base, come nella psicoanalisi, l’aspetto fondamentale è l’analisi personale e per gli psicodrammatisti è determinante il momento della domanda e si può accedere ai gruppi di II livello solo dopo aver fatto l’esperienza in un gruppo di base come paziente; supervisione, intesa non come attività di mera valutazione ma come esperienza di riflessione e di diverse visioni, la supervisione facilita l’emersione di quegli aspetti che rimangono in ombra nella routine quotidiana. Come ogni conclusione di psicodramma la parola passa all’osservatore che ha la funzione di cogliere ciò che si può cogliere solo se in posizione defilata e non frontale, l’osservazione a mio modo di vedere è l’aspetto rivoluzionario dello psicodramma in quanto l’osservazione è il vero atto analitico …un percorso a rovescio, che implica un ritorno al punto di partenza.
Bibliografia:
Negri A, Hardt M, Pandolfi A, (2004), Moltitudine. Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale.
Freud, S. (1920), Al di là del principio di piacere, OSF, vol. 9.
Lacan J, (1969-1970), Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi.
Green A, (1983), Narcisismo di vita, narcisismo di morte.