forma 1
forma 2
angelovilla01

Dott. Angelo Villa

Psicoterapeuta

nvo logo azul ipp

Reti Social

logoippw

facebook
instagram
linkedin

Via Agrigento 50, Palermo, Italia - Tel: +39 091 976 2399

Email: segreteria@scuolapsicoterapiaipp.com

Dall’indicibile del trauma al discorso nello psicodramma

2025-02-04 01:44

di Claudia Parlanti

FORT-DA numero 4/2025,

Dall’indicibile del trauma al discorso nello psicodramma

Dall’indicibile del trauma al discorso nello psicodramma di Claudia Parlanti

Premessa: Il groviglio di Giulia

Pochi giorni fa una mia paziente, Giulia, osserva: quando ho discussione con mia madre sto male, sento come un groviglio interno che non mi spiego e mi fa stare molto male.

Ho iniziato a interrogarmi su questo termine, “groviglio”; poi,  la scrittura di questa relazione mi ha riproposto di nuovo questo terminein modo enigmatico. E’ soltanto andando avanti nella scrittura che l’enigma si è almeno parzialmente sciolto.

 

Il significato del termine trauma

Il termine trauma deriva dal greco e letteralmente significa “forare la pelle” e Freud lo utilizza  in senso metaforico per porre in evidenza che la mente può essere “ferita dagli eventi”. In psicologia e in psicanalisi, viene definito trauma psichico un turbamento dello stato psichico imputabile a un avvenimento dotato di notevole carica emotiva.

In psicoanalisi il concetto del trauma ha una importanza cruciale in quanto ne viene presto individuato il ruolo nella origine delle psiconevrosi.

Infatti, già dagli inizi del diciannovesimo secolo, il neuropsichiatra francese Jean Martin Charcot rifiuta le tesi tradizionali secondo cui l’Isteria dipende da un eccitamento di origine uterina, classificando l’isteria fra le nevrosi, privilegiandone quindi la natura psichica piuttosto che organica. Ipotizza infatti che all’origine della isteria vi sia  una “lesione dinamica” cerebrale di natura traumatica.

Freud, che durante un suo stage a Parigi, ha  modo di assistere agli esperimenti ed alle lezioni di Charcot, rimane molto colpito da questo nuovo approccio  allo studio delle nevrosi e approfondisce il ruolo delle esperienze traumatiche nella loro comparsa.. inizialmente pone l’accento sulle esperienze traumatiche realmente accaduto, ma le osservazioni cliniche lo convincono che non si ha a che fare solo con esperienze vere e proprie ma anche con  fantasie, rimarcando il passaggio dalla realtà pratica alla realtà psichica.

La mente  è invasa da uno stimolo talmente forte e intenso che risulta impossibile da sopportare o gestire, si parla infatti di uno “scompiglio nel funzionamento psichico”, in quanto vengono sconvolte le difese esistenti contro l’angoscia.

Nel tempo, oltre a Freud molti  dei maggiori esponenti della psicoanalisi approfondiscono il tema del trauma: basti pensare a Melanie Klein, Sander Ferenczi, Masud Khan , solo per citarne alcuni, e ognuno porta un contributo importante alla comprensione del fenomeno traumatico, rilevandone aspetti significativi e cruciali nello sviluppo psichico del soggetto.

Non potendo prendere in considerazione il pensiero dei vari studiosi, tutti assolutamente degni di essere approfonditi, possiamo però evidenziare un carattere comune ad ogni evento traumatico.

Un evento è traumatico se provoca nel soggetto in modo imprevisto o inaspettato un disorientamento: il soggetto viene a confrontarsi con “qualcosa” che lo spinge oltre un orizzonte di senso, marcando una discontinuità in cui c’è un prima e un dopo nel divenire della propria esistenza. E’  evento rispetto al quale il soggetto perde la capacità di prendere posizione in quanto vengono rotte le barriere delle rappresentazioni, si crea una zona cieca in cui il soggetto non ha parole: questo è il segno del trauma.

Questi caratteri di discontinuità e incapacità di “dare parola” ad una esperienza li ritroviamo anche quanto Jacques Lacan si occupa del concetto di trauma, tema ripreso più volte e e di cui propone nel tempo accezioni diverse.

Se egli attribuisce in un primo momento l’origine del trauma all’avvento del linguaggio, cioè all’ingresso del soggetto in un mondo basato sul linguaggio, di cui non conosce il codice e il vocabolario, con il tempo si concentra sulla collisione/incontro con il linguaggio mettendo in risalto il corpo, il godimento ed il reale, arrivando a considerare che un evento è traumatico quando è impossibile da integrare nella propria soggettività; un evento che non può essere completamente compreso o elaborato attraverso l'uso del simbolo. L’esperienza traumatica è quella esperienza che non è simbolizzabile, che sfugge al senso e quindi irrappresentabile.

Poiché il trauma colpisce il soggetto in un modo che sfida la possibilità di essere simbolizzato, esso rimane inscrivibile nel reale, manifestandosi nel soggetto in sintomi o in fantasie.

 

Il reale nello psicodramma

Nella teoria di Lacan tra i tre registri in cui si articola la condizione umana, immaginario, simbolico e reale, quest’ultimo è ciò che dell’essere del soggetto non si lascia integrare nel linguaggio , non  è rappresentabile con la parola.

Ma cosa può accadere in una seduta di psicodramma di fronte ad una impossibilità a dire?

Nello psicodramma si parte dalla dimensione immaginaria e dalle percezioni soggettive, e la dimensione del reale emerge in esperienze di angoscia e fobie, quando viene meno la dimensione simbolica e si verifica una mancanza di “parola”. Il reale si traduce, in sintesi, in termini di intrusioni, turbamenti e fallimenti. Ricordate l’immagine con cui ho iniziato la relazione, il groviglio descritto da Giulia? Questo può essere un buon esempio di “reale” che ci invade e ci provoca angoscia.

Il lavoro di seduta riguarda proprio gli scontri di ogni partecipante con la propria realtà (nel caso della paziente, con il suo “groviglio” interiore), ma dando a ognuno l’opportunità di esporre la propria rappresentazione e fare in modo che il fatto vissuto sia legato a un reale che rappresenta un ostacolo per il soggetto. Infatti, c’è sempre un reale che ci contrasta, ci urta e ferisce e questo ha un’incidenza propria per ognuno.

Nel gioco psicodrammatico, grazie all’attivazione della voce, dello sguardo e del corpo del protagonista, il reale legato al vissuto del soggetto viene effettivamente mobilitato, in un contesto in cui la parola non è scollegata da ciò che le dà valore, e cioè l’aspirazione alla verità soggettiva.

In psicodramma, come ci ricorda Serge Gaudé, il lavoro è orientato verso l’esterno, non direttamente sul mondo interiore del soggetto: il luogo e il tempo della seduta svolgono una funzione protettiva rispetto allo spazio esterno, quello dei suoi rapporti con l’altro, e la protezione è condivisa da tutti i partecipanti.

 

Non si tratta di mettere in scena un evento per dare l’illusione della realtà, non si tratta di teatro (Elena Croce amava ripetere con un paradosso che il gioco riuscito è quello venuto male) ma di proporre il punto di vista del protagonista per cercare di raggiungere una metaforizzazione dell’avvenimento vissuto attraverso il ritorno di una prospettiva inedita.

Attraverso la trama del discorso la realtà diventa accessibile, e un altro reale si può manifestare attraverso il gioco e legarsi quindi a delle proposizioni significanti: ecco quindi che l’irrappresentabile, l’indicibile può trasformarsi in elementi rappresentabili.

Osserva in proposito Eugenie Lemoine( la psicoanalista che con il marito Paul ha definito il dispositivo dello psicodramma analitico )”il piccolo gruppo si svolge sul piano immaginario della rappresentazione con implicazioni del simbolico. Ma presuppone anche necessariamente la messa in gioco del reale, abbinata alla messa tra parentesi della realtà quotidiana.

Una affermazione a cui fanno eco le osservazioni della psicoanalista francese Marie Helene Brousse: “Accedere al reale attraverso le coordinate del discorso analitico suppone di “sfruttare il malinteso per afferrarne qualche pezzo”. Identificare i propri pezzi di reale sarebbe così l’obiettivo chiave di un’analisi. Bisogna dare il benvenuto a questi pezzi di reale con l’obiettivo di fare sorgere la posizione del soggetto nella storia traumatica”.

 

La clinica del reale nel gioco psicodrammatico

La descrizione di un brano di seduta può chiarire  la cruciale importanza delle esperienze traumatiche per ciascuno di noi, e il valore che hanno se opportunamente lavorate..

Si tratta di una seduta di “supervisione” per operatori di case di accoglienza di un Municipio di Roma. "

Una delle operatrici più giovani del gruppo, Denise, 25 anni, prende la parola.

Denise è un’operatrice di uno dei Poli di Accoglienza della Prima Infanzia, come attualmente vengono chiamati gli Orfanotrofi.

Racconta un fatto accaduto di recente: una delle bambine a lei assegnata, Elena, entrata nella struttura all’età di sei mesi, sarà adottata a breve (letteralmente utilizza il termine legale ”abbinata”) e quindi andrà via. “mi sono occupata di lei per due anni, e ora…” la frase resta sospesa, per lasciare posto a un pianto sommesso ma inconsolabile.

Denise piano piano si calma e la mia collega, che in quella seduta è l’animatrice, le chiede di giocare il momento in cui la responsabile del centro le ha comunicato la prossima adozione di Elena. Un colloquio che, per quanto dice Denise, è stato breve, freddo: una semplice comunicazione di servizio.

Nel gioco Denise inizialmente non reagisce alle parole della responsabile:  muta,  annuisce e guarda verso il basso. A un certo punto, però, c’è un repentino cambiamento: Denise inizia a “dire”. Parla del suo dolore, del legame che si era creato con Elena, esprime tutta la sua rabbia per questo distacco, che sapeva essere prevedibile, ma che le provoca un dolore intollerabile.

Nel cambio di ruolo, la responsabile “giocata” da Denise ha un atteggiamento accogliente: cerca di consolare l’operatrice  sottolineando come sia stato importante per Elena avere accanto una persona brava e capace come lei.

Nell’a solo finale, in cui Denise  è ancora nella posizione della responsabile,  viene ancora ribadita come Denise abbia tutelato la serenità della bimba e come sia comprensibile che il distacco le provochi tanto dolore..

Le lacrime di Denise, testimonianza di un dolore impossibile ad esprimersi altrimenti, grazie al gioco sono diventate parole, che hanno dato un senso alla sofferenza profonda che Denise sta provando. E, al tempo stesso, c’è anche lo spazio per una manovra di “riparazione”: l’operato di Denise ha avuto un effetto benefico sulla piccola Elena,  dando un senso al suo impegno e al bagaglio emotivo che tale impegno comporta.

Denise, grazie allo psicodramma, ha dato sostanza  alle sue lacrime: ha avuto la possibilità di confrontarsi col proprio dolore, lo ha riconosciuto, gli ha dato un nome, lo ha reso affrontabile e quindi simbolizzabile. Ma non solo: ha avuto la possibilità di riconoscere un valore al proprio impegno, anche se le costa un alto prezzo in termini di sofferenza.

L’interesse dimostrato dalla psicoanalisi nei confronti del trauma, ne fa emergere infatti il suo duplice valore: trauma non solo come evento che può sconvolgere un’intera vita tanto da cancellare ogni prospettiva futura, ma anche come punto d’insorgenza del soggetto. È la necessaria forza perturbatrice che sveglia il soggetto dal suo sonno eterno, dalla sua vocazione all’inorganicità, alla nirvanizzazione della vita come ha messo in luce Freud in Al di là del principio di piacere .

Una metafora di quanto detto ci viene offerta dalle parole dello psicoanalista  Aldo Carotenuto che  nel suo libro Vivere la distanza  afferma:  “In verità ognuno di noi porta con sé una ferita primordiale difficile da comunicarsi, ma che può tuttavia trasformarsi in feritoia, ossia può diventare la matrice del nostro relazionarci con il mondo.

 

Claudia Parlanti

Template grafico: Maria Diaz  |  Realizzazione sito web: Marco Benincasa

Create Website with flazio.com | Free and Easy Website Builder