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La psicosi puerperale

2024-07-19 02:46

di Ilaria Rusignuolo

FORT-DA numero 3/2024,

La psicosi puerperale

La psicosi puerperale di Ilaria Rusignuolo

Per occuparsi dei bambini bisogna pensare alla salute mentale dei loro primi educatori: i genitori.

Il benessere dei genitori non può che riflettersi sui figli”. (Bowlby, 1980)

 

La nascita di un bambino viene considerata un momento di pura gioia e allegria. Parenti e amici festeggiano, si congratulano con i nuovi genitori e dalla neomamma si aspettano che sia sempre sorridente e raggiante di felicità. Le persone danno per scontato che una donna o un uomo che hanno avuto da poco un bambino siano al settimo cielo, eppure non è sempre così. Quotidianamente siamo letteralmente invasi da immagini di neo genitori perfetti alle prese con i loro bambini altrettanto perfetti, soprattutto dopo l’avvento di Internet. Foto di sorrisi, abbracci e baci tutte rigorosamente e perfettamente a fuoco, istantanee di vita in cui tutto sembra essere al posto giusto al momento giusto. Eppure a molte madri può capitare di ritrovarsi fra le braccia e guardare un bambino che pur somigliandole, avverte come estraneo e che, dentro di sé, un senso di vuoto e di paura spazza via ciò che di bello dovrebbe provare. L’immagine del bambino ideale lascia spazio a quella del bambino reale, un confronto che può rivelarsi traumatico. Può iniziare a venir fuori la paura di non saper prendersi cura di quel esserino e a questo iniziano ad associarsi notti insonni, pianti che non si placano. La neo mamma inizia a chiedersi cosa sbaglia e perché non riesce a calmarlo e si sente stanca, triste, stremata, nervosa e pensa anche al suo bambino che non dorme, piange e rigurgita il suo latte, e allora inizia a pensare e a sentire di non essere una buona madre, di non riuscire a prendersi cura di suo figlio, si sente inadeguata e forse vorrebbe soltanto tornare indietro. 

Questo quadro non è affatto raro perché il periodo della gravidanza per una donna rappresenta un momento delicato della propria vita. Durante i mesi che precedono la nascita del bambino, infatti, la futura madre si prepara ad accogliere il nascituro andando incontro ad una serie di cambiamenti sia fisici che emotivi, e cercando di ristrutturare la rappresentazione di sé per fare posto alla nuova identità di madre, un cambiamento cha sarà permanente. La gravidanza, inoltre, porta con sé la modificazione dello schema corporeo, i cambiamenti della propria femminilità, la ridefinizione delle posizioni all’interno del sistema familiare che comportano una destrutturazione e ridefinizione del senso di identità. E la nascita di un figlio comporta l’integrazione del ruolo di genitore, oltre che la modificazione dei ruoli precedenti: le continue richieste di accudimento del neonato, una nuova organizzazione del proprio tempo e delle proprie abitudini, eventuali difficoltà nell’ambito lavorativo sono solo alcune delle difficoltà che la donna incontra in questa delicata fase di vita. Anche la relazione con il partner può incontrare alcune avversità e se a tutto ciò si sommano ulteriori fattori di rischio, quali la mancanza di una rete sociale, difficoltà finanziarie o un parto inaspettatamente problematico, etc., lo sviluppo di manifestazioni depressive di varia intensità o altre manifestazioni psicopatologiche di carattere ansioso sono eventi al quale non è assolutamente raro assistere. Diventare genitori, oltretutto, significa doversi adattare velocemente a numerosi cambiamenti soprattutto di natura emotiva. La nascita di un bambino, in realtà, è sempre un evento stressante e molti genitori vivono un periodo iniziale in cui fanno fatica ad adattarsi al nuovo ruolo e provano sentimenti di inadeguatezza ed impotenza. La società, inoltre, lanciando messaggi sbagliati e non realistici, non aiuta la neomamma e la coppia genitoriale in questa particolare fase della vita, anzi spesso induce la coppia a provare veri e propri sentimenti di fallimento. È importante non trascurare quando tutto ciò rischia di diventare un serio problema per la salute psicologica della madre. La maternità è un evento determinante nella vita della donna e i disturbi psichiatrici perinatali non hanno solo ripercussioni sulla salute e sulla vita della madre ma sono anche associati a problemi nella relazione madre-figlio e nello sviluppo emotivo e cognitivo di quest’ultimo. Purtroppo, in Italia l’attenzione per la salute mentale nel puerperio non è elevata e non esistono ricerche sui costi personali e sociali. Eppure nel 2023, la prevalenza dei disturbi depressivi e ansiosi durante la gravidanza è stata oggetto di diversi studi, rivelando tassi significativi. Nel periodo postpartum circa l’85% delle donne manifesta un qualche tipo di disturbo dell’umore. Per la maggior parte delle donne i sintomi sono lievi, di breve durata e si risolvono spontaneamente. Ma il senso di profonda malinconia che la donna prova in seguito al parto, può assumere diverse sfumature e diversi gradi di intensità. Per questo motivo si possono distinguere quattro tipologie di disturbi emotivi: 

  • il baby blues, con una incidenza del 50-80%; 
  • la depressione post-partum, più intensa e duratura, con una incidenza del 10-20%; 
  • il disturbo post-traumatico da stress postnatale con una incidenza del 20-25% (parto traumatico); 
  • la psicosi puerperale, un disturbo psichiatrico molto pericoloso sia per la mamma che per il bambino, con una incidenza del 0,1-0,2%. 

Il termine psicosi puerperale (o psicosi postpartum) è comunemente usato nella pratica clinica e nella ricerca per indicare un gruppo eterogeneo di disturbi psichiatrici, accumunati dall’esordio in relazione con il parto. Il termine psicosi, tuttavia, può confondere. Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di disturbo dell’umore piuttosto che di una psicosi schizofrenica. Le pazienti presentano solitamente sintomi maniacali, depressione severa o quadri misti, in cui i sintomi depressivi e quelli maniacali coesistono. Sintomi psicotici positivi, quali deliri e allucinazioni, sono frequenti, così come confusione e perplessità. Tuttavia, il termine psicosi puerperale viene utilizzato per descrivere episodi (ipo)maniacali o misti in assenza di sintomi psicotici. Il dibattito sulla validità e classificazione della psicosi puerperale è aperto e gli attuali sistemi diagnostici di riferimento, il DSM-V (Sharma e Mazmanian, 2014) e l’ICD-10 (World Health Organization, 1992) non riconoscono la psicosi puerperale come un’entità nosologica distinta (Di Florio et al., 2013). Diversamente, ci sarebbero diversi vantaggi nell’adottare la diagnosi di psicosi puerperale perché una diagnosi distinta aiuterebbe a porre l’enfasi sulla relazione causale con il parto. Distinguere le donne, inoltre, con una vulnerabilità specifica e limitata al parto da quelle con disturbo bipolare e ricadute anche al di fuori dal puerperio, consentirebbe di evitare trattamenti farmacologici a lungo termine e ostacolerebbe la tendenza a indicare tutti i disturbi psichiatrici del puerperio come depressione postpartum con la conseguenza di ritardare nella diagnosi, sottovalutare il rischio suicidario e trascurare le cure necessarie per la madre, il figlio e la loro relazione. La diagnosi differenziale è di estrema importanza perché nella maggioranza dei casi l’episodio psicotico nel puerperio costituisce il primo contatto psichiatrico in donne senza fattori di rischio apparenti (Blackmore et al., 2013). Pertanto una diagnosi pronta e l’instaurazione di un trattamento tempestivo ed efficace sono di importanza vitale che consente alla madre e ai neogenitori di prendere le dovute precauzioni e adottare i giusti comportamenti. 

La psicosi puerperale, dunque, è il più raro disordine postpartum ma anche il più grave. Esso affligge una o due madri su mille e rientra nella sezione della sezione disturbi dello spettro schizofrenico e altri disturbi psicotici con esordio durante la gravidanza o entro le 4 settimane dopo il parto. Il disturbo si caratterizza per la presenza di almeno un sintomo tra cui deliri (es. possessione demoniaca del neonato), allucinazioni (es. sentire voci che ordinano di uccidere il neonato), eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato o catatonico, disturbi del sonno, agitazione e impulsività, sbalzi d’umore e apprensione ossessiva nei confronti del bambino e l’episodio ha una durata compresa tra un giorno o un mese. 

Le madri affette da questo disordine psichico sono totalmente incapaci di affrontare la quotidianità e incontrano talmente molte difficoltà nell’accudire e nel costruire la relazione madre-figlio che questa estrema insicurezza può avere effetti sul bambino e potrebbe avere una serie di conseguenze per lo sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale di quest’ultimo, anche nel lungo termine. Infatti il neonato diventa il centro intorno al quale si sviluppano le idee deliranti e paranoidi della madre. Ecco perché i sintomi della psicosi postpartum possono avere conseguenze gravissime come il suicidio e l'infanticidio, per cui rappresenta un’emergenza psichiatrica. 

Attualmente non sono stati individuati dei fattori eziologici che, inequivocabilmente, conducono alla psicosi puerperale ma per le donne che hanno maggiori probabilità di sviluppare una psicosi post natale più che di vere e proprie cause della psicosi postpartum, è possibile parlare di fattori di rischio e di protezione. Una storia personale di depressione, depressione/ansia durante la gravidanza, eventi stressanti attuali e storia familiare con problemi psicologici/psichiatrici possono essere indicatori di rischio a cui prestare attenzione. I fattori di rischio psicosociali possono essere correlati all’aspettative sociali, alle difficoltà nella relazione con il partener oppure l’essere madri single. Avere un partner capace di supporto risulta invece un elemento di protezione. E comunque ciò che può salvaguardare la donna e ridurre la sua vulnerabilità è il supporto sociale, elemento considerato capace di favorire il benessere psicologico e fisico delle neomamme (Zlotnick et al., 2023).

‍Dunque, in realtà, la perinatalità, il periodo di tempo che va dal concepimento al primo anno di vita del bambino, è riconosciuto come uno dei periodi della vita a maggior rischio per lo sviluppo di problematiche psichiche per le donne. I vissuti emotivi che accompagnano tali profondi cambiamenti possono essere molti e di natura diversa: possono far emergere delle paure e delle angosce importanti che spesso vengono sottovalutate o non affrontate in modo adeguato a causa delle aspettative spesso irrealistiche che si associano alla nascita di un figlio. Questo periodo della vita di una donna, infatti, conserva ancora una forte connotazione socio-culturale, che vede la maternità come il raggiungimento di un compito evolutivo imprescindibile per la finale realizzazione della femminilità e che, come tale, deve essere caratterizzato esclusivamente da vissuti emotivi positivi. È il paradosso della madre depressa (Guenedey, 2001), la quale, talvolta, facilitata dal contesto sociale, respinge il vissuto depressivo considerandolo come sinonimo di cattiva madre e negandosi quindi la possibilità di chiedere aiuto (Saharoy et al., 2023). Ecco perché per riuscire ad interfacciarsi con una forte idealizzazione culturale del ruolo della madre che è indubbiamente felice e naturalmente competente, il sintomo talvolta si innesca paradossalmente come migliore modalità di adattamento e come estrema richiesta d’aiuto in quanto la patologia, se conclamata, permette un riconoscimento delle proprie difficoltà e l’espressione e la legittimazione delle proprie estreme insicurezze. Ricordiamoci che un individuo se ha potuto sviluppare un modello operativo interno della figura di attaccamento come amorevole e pronta a sostenerlo, può costruire un modello del Sé come degno di sostegno e di amore (Bowlby, 1969).

 

Bibliografia.

 

Bowlby J. (1969), Attaccamento e perdita, vol. 1: L’attaccamento della madre, Torino, Bollati Boringhieri. 

Bowlby J. (1980), Attaccamento e perdita, vol. 3: La perdita della madre, Torino, Bollari Boringhieri.

Di Florio A., Smith S. e Jones I. (2013), Postpartum psychosis, «The Obstetrician & Gynaecologist», vol. 15, n. 3, pp. 145-150, http://doi.org/10.1111/tog.12041.

Guedeney N. & Jeammet P. (2001). Depressions Postnatales et Decisions D’orientation Therapeutique. Devenir, 13:51-64.

Saharoy, R., Potdukhe, A., Wanjari, I. & Taksande, A. B., (2023). Postpartum depression and maternal care: exploring the complex effects on mothers and infants. Cureus, 15(7).

Sharma V. e Mazmaniam D. (2014), The DSM-5 peripartum specifier: Prospects and pitfalls, «Archives of Women’s Mental Health», vol. 17, n.2, pp. 171-173, http://doi.org/10.1007/s00737-013-0406-3.

Zlotnick, C., Manar-Lavar, I. & Leahy-Warren, P. (2023). Relationship between social support and postpartum depression in migrant and non-migrant first time mothers. Journal of clinical nursing, 32(7-8), 1316-1326.

 

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